Consecuzione tra procedure ex art. 69 bis, comma 2, l. fall. – Analisi e implicazioni giuridiche
di Avv. Eugenia Vitellini

Il Tribunale di Bari, con recente sentenza del 19 novembre 2023, si è pronunciato in merito alla consecuzione tra procedure concorsuali.

Com’è noto, l’art. 67 l. fall. consente l’azione revocatoria fallimentare degli atti dispositivi compiuti dal fallito sei mesi (co. 2) o un anno (co. 1) prima della dichiarazione di fallimento. L’art. 69 bis l. fall. prevede che: “Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segue la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese“.

In merito a ciò, la Suprema Corte di cassazione, con sentenza n. 17.724/2019, ha espresso il principio per cui la consecuzione tra procedure concorsuali è un fenomeno ampiamente riconosciuto e consiste nel collegamento tra diverse procedure, indipendentemente dal tipo, quando mirano a gestire una situazione di dissesto o crisi all’interno dell’impresa. L’articolo 69 bis l. fall. sembra fornire una disciplina specifica per gestire questa situazione particolare, specialmente quando si verifica una successione di una o più procedure concorsuali minori che conducono infine a un fallimento. La Corte, attraverso questa sentenza, sembra confermare la natura generale della consecuzione tra procedure concorsuali, sottolineando che l’art. 69 bis l. fall. costituisce uno strumento normativo particolare nel caso in cui si verifichi questa successione tra procedure minori e il culmine nel fallimento finale. Questa interpretazione giuridica sembra rafforzare l’idea che la legge prevede un modo specifico per affrontare e gestire le fasi di crisi aziendale che coinvolgono una serie di procedure concorsuali, fornendo un quadro normativo che regola questa successione e le implicazioni legali che ne derivano.

Quindi, il principio della consecutio, come definito dall’art. 69 bis l. fall., si applica anche nel caso di successione di più concordati o domande di concordato seguite da un fallimento finale. Questo principio comporta la retrodatazione del periodo sospetto alla data della prima domanda di concordato. Tuttavia, questo avviene solo se il fallimento può essere collegato alla stessa situazione di crisi o insolvenza che ha portato alla presentazione della prima domanda di concordato preventivo.

Il criterio di consecuzione, rilevante per l’applicazione dell’art. 69 bis l. fall., trova validità dalla prima domanda di concordato se il successivo fallimento è conseguenza della stessa crisi imprenditoriale iniziale. Questa regola si applica anche nel caso in cui la procedura di concordato preventivo sia stata interrotta prima dell’ammissione, purché si possa individuare un’unica crisi imprenditoriale che giustifichi la successione delle procedure.

La Cassazione ha rilevato che la retrodatazione non si basa più sull’ammissione alla procedura, ma sulla pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, un cambiamento introdotto dalla norma in esame. Pertanto, il fenomeno della consecuzione richiede un’analisi sia cronologica che valutativa, considerando se l’imprenditore sia intervenuto attivamente nella gestione dell’impresa durante le procedure e se abbia modificato in modo significativo la sua situazione finanziaria rispetto al momento della prima domanda di concordato.

In sintesi, la consecutio deve essere valutata in modo sostanziale, esaminando se ci siano stati interventi significativi da parte dell’imprenditore nella gestione dell’impresa e cambiamenti rilevanti nella situazione finanziaria rispetto al momento iniziale della procedura di concordato.

In sostanza, per l’applicazione dell’art. 69 bis, co. 2, l. fall., la continuità tra la procedura di fallimento e le precedenti procedure concorsuali minori è valida anche nel caso di una richiesta di concordato definito come “in bianco”. Inoltre, questo collegamento si estende anche nel caso in cui la procedura di concordato preventivo venga interrotta prima dell’ammissione, portando infine al fallimento dell’impresa. Tuttavia, questo collegamento è riconosciuto solo se si può individuare un’unica situazione di crisi imprenditoriale che collega e giustifica la successione delle diverse procedure.

In relazione, poi, alla scientia decoctionis – ovvero la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore poi fallito da parte del terzo, presupposto di ordine soggettivo, richiesto per la revocabilità di atti posti in essere dal debitore poi fallito in danno ai creditori – si stabilisce che il terzo contraente deve avere una conoscenza effettiva, e non soltanto potenziale, dello stato di insolvenza dell’imprenditore.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il curatore, responsabile della gestione del fallimento o della procedura concorsuale, ha l’onere di dimostrare la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza del terzo contraente. Tale prova può essere fornita attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, come definite negli artt. 2727 e 2729 c.c. Queste presunzioni possono derivare da vari elementi, tra cui la presenza di protesti cambiari, che rappresentano una forma di anomalia rispetto al normale adempimento dei debiti d’impresa. In pratica, se ci sono prove della pubblicazione di una serie di protesti cambiari, questa situazione può assumere un valore presuntivo significativo. Questa presunzione può esonerare il curatore dall’onere di dimostrare la conoscenza effettiva dei protesti da parte del convenuto nella procedura di revocatoria. In questo caso, sarebbe il convenuto a dover dimostrare in modo convincente che non era a conoscenza dei protesti, ribaltando così l’onere della prova. La sentenza della Cassazione n. 526/2016 sembra confermare questo principio, stabilendo che la pubblicazione di una pluralità di protesti può avere rilevanza presuntiva, trasferendo quindi l’onere della prova al convenuto per dimostrare il contrario.

È evidente che le questioni relative alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza nell’ambito dell’azione revocatoria fallimentare sono valutazioni di merito che richiedono un’analisi caso per caso. Dal punto di vista legale, la dimostrazione della conoscenza dello stato di insolvenza in un’azione revocatoria fallimentare può essere anche presuntiva e basata sulla possibilità astratta di ottenere informazioni, purché sia ragionevole assegnare al creditore l’onere di ottenere tali informazioni. Ciò si applica quando, come generalmente accade, il creditore è in grado, nell’ambito della sua attività imprenditoriale, di monitorare i dati relativi al suo debitore. Nel caso in cui le caratteristiche del creditore non qualificato non consentano di dedurre la conoscenza dello stato di insolvenza dalla possibilità astratta di ottenere informazioni basate sui fatti che giustificano tale presunzione nell’azione revocatoria fallimentare, tale meccanismo presuntivo non può essere utilizzato. In tal caso, diventa necessario ricorrere alla prova diretta, ossia dimostrare l’effettiva conoscenza da parte del creditore di quegli elementi sintomatici dell’insolvenza.

Pubblicato il

06 / 12 / 2023

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