Il ruolo dell’organo Giudicante nell’ambito dei nuovi strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza
di Avv. Cinzia Giarrizzo

Le novità introdotte dal legislatore impongono agli operatori di settore di soffermarsi sul tema delle modifiche ai poteri valutativi del giudice, alla luce del Codice riformato dal decreto legislativo n. 83/2022 di recepimento della Direttiva Europea n. 1023 del 2019  [1].

L’intervento giudiziale negli strumenti di composizione della crisi di impresa alternativi alla liquidazione, ma soprattutto l’intensità di tale intervento, ha sempre suscitato un acceso dibattito per via del contrasto tra le diverse visioni in conseguenza della composita natura, pubblicistica e privatistica, degli strumenti stessi.

Nella composizione negoziata della crisi, il legislatore nazionale ha attribuito al giudice il potere di confermare le misure protettive richieste dall’imprenditore (che consistono nel divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore e di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa), pena l’inefficacia delle stesse.

Ciò potrebbe apparire eccessivo, anche rispetto ai considerando contenuti nella direttiva europea e che suggeriscono che la sospensione delle azioni esecutive individuali possa verificarsi per legge o in modo automatico, quindi senza necessità di alcuna conferma. In linea con la direttiva, invece, è la previsione del necessario intervento giudiziario per quanto attiene alla proroga, alla modifica e alla cessazione di tale regime protetto.

Di contro, non è più prevista la possibilità di adire l’autorità giudiziaria per ottenere le modifiche delle condizioni contrattuali quando non viene accolto l’invito dell’esperto nominato a rinegoziarle, eccettuata l’ipotesi che lo stesso sia dettato dalla constatazione dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, come conseguenza degli effetti della pandemia da Covid-19.

Nella prassi, la giurisprudenza ha evidenziato che il giudice non rinuncia ad indagare sulla sussistenza dei presupposti per l’apertura o la continuazione della negoziazione, con un giudizio sempre più rigoroso man mano che la procedura si dipana. Vedremo in futuro se l’intervento dell’organo giudicante si spingerà sino a porsi in conflitto con le determinazioni assunte dall’esperto.

Discorso diverso si deve fare in ordine alle richieste in fase di trattativa o che attengano ai finanziamenti ritenuti necessari per la prosecuzione dell’attività che non sono soggetti ad alcuna autorizzazione, ma, nell’ipotesi in cui il relativo atto venga posto in essere dall’imprenditore, nonostante l’esperto lo ritenga pregiudizievole per i creditori, verrà iscritto il relativo dissenso nel registro delle imprese e questo potrebbe comportare la richiesta al tribunale di revoca delle misure protettive concesse.

Infine, la valutazione del giudice appare più pregnante nella ulteriore ipotesi di autorizzazione alla cessione dell’azienda, poiché il Codice oggi prevede una attenta valutazione delle istanze di tutte le parti al fine di tutelare tutti gli interessi coinvolti. Ne consegue che, nel valutare ad es. la congruità del prezzo, la prosecuzione dei rapporti commerciali e delle eventuali garanzie prestate, il tribunale debba privilegiare il miglior risultato possibile dal punto di vista del soddisfacimento dei creditori.

Quanto al concordato semplificato, la valutazione del tribunale è rimessa al solo momento della omologazione, anche se la dicitura “ritualità della proposta” lascia aperte molte interpretazioni in ordine agli elementi su cui basare tale valutazione.

Si sostiene che il termine “ritualità” richiami al solo controllo della domanda e dei documenti allegati (quindi tempestività del ricorso, competenza, legittimazione e rispondenza del piano alle caratteristiche dell’istituto). Solo nella fase successiva, infatti, il giudice, acquisendo la relazione dell’esperto ed il suo parere, può ragionevolmente valutare se emergano elementi di inammissibilità.

Dunque, è in fase di omologazione che l’organo giudicante, d’ufficio, effettua una verifica completa in ordine alla regolarità del contraddittorio e del procedimento, al rispetto dell’ordine delle cause di prelazione ed alla fattibilità del piano di liquidazione, ma soprattutto che la proposta non arrechi pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.

Da ultimo, al giudice è anche rimessa la decisione relativa alla cessione dell’azienda, in quanto può determinare altre modalità di liquidazione, ma è anche vero che la norma dispone che il liquidatore possa dare esecuzione all’offerta di vendita una volta verificata l’assenza di soluzioni migliori, lasciandogli quindi ampio margine di scelta.

Per ciò che attiene, invece, al piano di ristrutturazione dei debiti, il giudice è chiamato a fare da controllore su eventuali atti in frode ai creditori posti in essere dall’imprenditore e sottoposti alla sua attenzione dal commissario giudiziale. Da tale controllo potrà anche scaturire la decisione di revocare il termine concesso, con il rischio di apertura della liquidazione giudiziale.

Notevolmente modificata la disciplina del concordato preventivo in ordine all’intervento giudiziale. Sia nella forma di concordato liquidatorio (con l’accertamento dei requisiti di ammissibilità e di fattibilità del piano) che in continuità (con la valutazione sulla ritualità della proposta e la idoneità alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali), infatti, l’organo giudiziale è chiamato ad esprimersi in modo netto.

Meno pregante appare invece il giudizio del tribunale in fase di omologazione di entrambi i concordati, prevedendo la nuova disciplina un controllo per così dire “negativo” e limitandosi l’intervento dell’organo giudicante alle ipotesi di dissenso da parte dei creditori.

Da questa breve analisi pare ricavarsi che l’intento del legislatore sia stato quello di spostare il fulcro dell’intervento giudiziale dalla fattibilità alla convenienza e di  voler evitare che le sorti del tentativo del debitore possano dipendere da una valutazione prognostica fatta dal tribunale, laddove questa non sia ancorata ad elementi assolutamente inequivoci, lasciando invece ai creditori la scelta se condividere la prospettiva proposta oppure optare per l’alternativa liquidatoria.

Resta da verificare se il ceto creditorio porrà in essere comportamenti più presenti e collaborativi al fine di addivenire alla migliore soluzione della crisi, anche in ipotesi di controllo procedurale meno diretto.


[1] Interessante contributo contenuto nel saggio del già consigliere della Corte di Cassazione Vittorio Zanichelli sulle modifiche inerenti ai poteri valutativi del giudice, alla luce del Codice riformato dal decreto legislativo n. 83/2022 di recepimento della Direttiva Europea n. 1023 del 2019 (https://www.dirittodellacrisi.it/articolo/il-giudice-nella-ristrutturazione).

Pubblicato il

19 / 12 / 2022

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