Non è sufficiente un piano attestato ex art. 67 c.3, lett. d) L.F. per l’automatica esenzione da revocatoria. Riflessioni alla luce di Cass. n. 9743/2022
di Avv. Anna Caffini

N. 8/2022

Come noto, il piano attestato ex art. 67 c. 3, lett. d) L.F. rientra tra gli strumenti nella disponibilità dell’imprenditore che versa in stato di crisi o di insolvenza.

Infatti, l’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa, nonché ad assicurarne il riequilibrio della situazione economico-finanziaria.

Sul piano formale, il piano deve avere: data certa, forma scritta e contenuto analitico.

Inoltre, il ridetto piano deve essere attestato da un professionista indipendente designato dal debitore, che deve certificare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano.

Quest’ultimo, assieme all’attestazione del professionista e agli accordi con i creditori, può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta dell’imprenditore.

L’effetto legale connesso – sia causalmente, sia temporalmente – alla predisposizione e attestazione del piano è l’esonero dalla revocatoria, sia concorsuale, sia ordinaria.

Tale dato normativo va necessariamente analizzato alla luce dell’ultima pronuncia sul tema da parte della Corte di Cassazione, Sez. I – Civile, la quale si è recentemente espressa con l’Ordinanza n. 9743 del 25 marzo 2022.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso depositato dal fallimento di una Società a responsabilità limitata, nella persona del Curatore, avanzato avverso il decreto emesso dal Tribunale di Roma, che, accogliendo l’opposizione ex art. 98 L.F., aveva ammesso il Banco di Sardegna S.p.A. al passivo fallimentare della società in privilegio pignoratizio, poiché tale operazione costituiva un atto esecutivo del piano di risanamento dell’esposizione debitoria del gruppo di cui faceva parte la società, per la cui ragionevolezza era stata presentata l’attestazione del professionista, rilevante ai fini dell’esenzione dalla revocatoria ex art. 67, c.3, lett. d) L.F.

Il Tribunale di Roma, in particolare, riteneva che la presenza del piano attestato fosse idonea a produrre, in generale e automaticamente, l’esenzione da revocatoria, non essendo nel potere del giudice – e tantomeno del terzo finanziatore – disconoscerne gli effetti protettivi, in virtù di una valutazione diversa rispetto a quella fatta dall’attestatore.

La Curatela fallimentare proponeva ricorso per Cassazione, che veniva accolto sulla base delle seguenti motivazioni.

La decisione resa dal Tribunale di Roma – censurata dalla Cassazione – era basata sul presupposto che né sul giudice – né sul terzo erogatore di nuova finanza – risiede il potere di sindacato in ordine all’attestazione resa dal professionista circa l’idoneità del piano alla realizzazione degli obiettivi di risanamento dell’impresa.

Segnatamente, secondo il Tribunale di Roma andava escluso il potere del giudice di valutare l’idoneità del piano attestato ai fini dell’esenzione dalla revocatoria, al punto tale per cui la sola presenza del piano e dell’attestazione produceva automaticamente effetto protettivo sui suoi atti esecutivi.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribadito che già in passato vi era stata una pronuncia in senso contrario rispetto all’orientamento del Tribunale di Roma.

Si era infatti già affermato che, per ritenere esenti da revocatoria (fallimentare) gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento ex art. 67, c.3, lett. d) L.F., il giudice doveva effettuare, con giudizio ex ante, una valutazione (parametrata sulla condizione professionale del terzo contraente) circa l’idoneità del piano – del quale gli atti impugnati costituiscono strumento attuativo – a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa.

In breve, la Cassazione ha rappresentato che già in precedenza era stato sottolineato che, per ritenere esenti dalla revocatoria fallimentare gli atti esecutivi di un piano attestato di risanamento, il piano deve necessariamente apparire idoneo al risanamento.

Di conseguenza la Corte, accogliendo il ricorso, ha concluso che – contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale di Roma -costituisce elemento fondamentale il fatto che sul giudice si concentri una vera e propria potestà valutativa del piano.

Tutto ciò, fermo restando il controllo della correttezza dei dati informativi forniti dal debitore ai creditori.

Orbene, i termini della sentenza in analisi impongono necessariamente una serie di riflessioni, considerando le ripercussioni pratiche che possono presentarsi.

Infatti, Il principio ribadito dalla Suprema Corte presenta una doppia rilevanza pratica, dovendosi procedere in concreto non solo a verificare quale sia effettivamente il ruolo del professionista attestatore, ma anche a verificare quale dovrebbe essere il contenuto della relazione attestativa idoneo a consentire, ex post ed in caso di fallimento, l’applicazione della specifica esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lett. d). l. fall. e anche comprendere quale ruolo rivesta l’autorità giudiziaria chiamata – in caso di insuccesso del piano – a giudicarne la tenuta.

Per quanto riguarda il ruolo del professionista attestatore, pare che il piano di risanamento ed i suoi atti esecutivi potranno essere efficacemente difesi solo ed a condizione che l’attestazione comprenda una specifica e dettagliata analisi degli elementi finanziari, economici, aziendali e giuridici dell’impresa in crisi, nonché delle prospettive di risanamento della medesima nel mercato di riferimento.

Dunque, al fine di verificare la c.d. “manifesta attitudine” non pare sufficiente l’esclusione della sussistenza di macroscopici elementi di inidoneità, formale e sostanziale, del piano, ma occorre un quid pluris che consenta di verificare e dimostrare che il piano attestato era sin dall’inizio fondato su presupposti e prospettive veritieri e realizzabili da un punto di vista economico, finanziario, aziendale e giuridico.

Per quanto riguarda invece il ruolo del giudice, se si ammette che esso possa sindacare la bontà di un piano attestato di risanamento, in una situazione in cui, per definizione, le sue previsioni non si sono realizzate (perché è stato dichiarato il fallimento e non è stato conseguito il risanamento), emerge inevitabilmente l’indebolimento della capacità protettiva di questo strumento.

Concludendo, la questione sollevata dalla sentenza in commento è evidentemente complessa ed è meritevole di particolare attenzione da parte degli operatori attivi nel settore, tenendo conto soprattutto dell’amplissimo ricorso nella prassi allo strumento del piano ex art. 67, c. 3, lett. d) L.F.

La conseguenza tangibile ed immediata è che dovrà elevarsi la soglia di attenzione che il creditore –soprattutto se strutturato – dovrà prestare alle opzioni di ristrutturazione che vengono proposte e contrattualizzate,  soprattutto qualora si profili l’acquisizione di nuovi diritti di prelazione.

Avv. Anna Caffini

(riproduzione riservata)

Pubblicato il

30 / 05 / 2022

Interessante? Leggi altri articoli