Cessione di crediti “in blocco” e onere probatorio
di Avv. Eugenia Vitellini

La Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con ordinanza n. 28790 dell’8 novembre 2024, si è pronunciata su un ricorso in opposizione allo stato passivo di un fallimento. La società ricorrente, creditrice, aveva chiesto l’ammissione al passivo fallimentare per un credito derivante da due conti correnti, ma il Tribunale di Vicenza aveva respinto l’opposizione avverso il provvedimento che la negava.

I motivi del rigetto includevano:

  1. l’illegittimità del credito: ritenuto contrario a norme imperative (artt. 217 e 218 legge fallimentare) e contrario al buon costume.
  2. la carenza di legittimazione attiva: la ricorrente non aveva dimostrato adeguatamente di essere la cessionaria del credito oggetto di causa.
  3. la riserva di azione: il curatore si era riservato di agire per il risarcimento dei danni nei confronti della società creditrice.

La Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, ribadendo che la prova della cessione del credito non poteva basarsi esclusivamente sulla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ma richiedeva documentazione ulteriore.

La decisione si fonda su principi consolidati relativi alla cessione dei crediti: in primis, la prova della cessione di crediti. L’art. 58 del Testo Unico Bancario consente la cessione in blocco di crediti senza necessità di notifica individuale, ma la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale non è sufficiente come unica prova in caso di contestazione. È necessaria la documentazione contrattuale che dimostri l’effettiva inclusione del credito contestato nel blocco ceduto.

L’onere della prova ricade sulla parte che rivendica il credito dimostrare l’inclusione di quest’ultimo nel perimetro della cessione (la Corte richiama la giurisprudenza per cui notifiche o pubblicazioni hanno solo valore indiziario e non probatorio).

In linea con precedenti (ad es. Cass. 17944/2023), la legittimazione sostanziale è condizione imprescindibile per agire in giudizio e deve essere documentata con elementi concreti.

In ultima istanza, il principio di non contestazione: la ricorrente aveva dedotto una violazione di questo principio, sostenendo che il curatore non aveva contestato in precedenza la titolarità del credito. Tuttavia, la Cassazione ha rilevato che il curatore aveva comunque sollevato l’eccezione in sede procedurale e che la titolarità è questione rilevabile d’ufficio.

La sentenza della Cassazione è coerente con i principi di diritto e tutela due interessi fondamentali:

  • esigenza di certezza del diritto: la Corte ha ribadito l’importanza di una prova rigorosa per stabilire la legittimità della pretesa creditoria, specie in un contesto fallimentare dove le risorse devono essere distribuite equamente tra i creditori.
  • garanzia contro abusi: negare che la sola pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sia prova sufficiente previene il rischio di ammettere al passivo crediti non validamente trasferiti o potenzialmente fraudolenti.

Tuttavia, la decisione può essere criticata per il rigore probatorio richiesto, che potrebbe gravare eccessivamente su società cessionarie di crediti, specialmente quando si tratta di operazioni di cessione in blocco di grandi dimensioni. Una maggiore flessibilità nel riconoscimento di elementi indiziari, se corroborati da ulteriori documenti, potrebbe risultare più equilibrata.

In sintesi, la Corte di Cassazione ha confermato che le decisioni del Tribunale di Vicenza sono coerenti con la giurisprudenza consolidata in tema di cessione in blocco di crediti cartolarizzati. In base a tale giurisprudenza, la pubblicazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale, pur necessaria ai fini della pubblicità e dell’efficacia della cessione, non costituisce prova sufficiente dell’esistenza del contratto di cessione o dell’inclusione del credito specifico oggetto di contestazione.

La Corte sottolinea e ribadisce che la prova della cessione deve essere fornita con mezzi documentali o probatori adeguati, non essendo sufficiente la mera notificazione dell’avvenuta cessione tramite pubblicazione ufficiale e che la pubblicazione può costituire solo un indizio, da valutarsi congiuntamente ad altri elementi di prova.

Quando la stessa esistenza del contratto è contestata, la parte cessionaria ha l’onere di dimostrarlo con documentazione adeguata.

Nel caso di specie, la Cassazione ha evidenziato che il ricorso della società cessionaria si è limitato a contestare il rigore formale delle motivazioni del Tribunale, senza aggredire il merito dell’accertamento in fatto, ritenuto adeguato e motivato. La pubblicazione sulla Gazzetta, da sola, è stata considerata insufficiente per dimostrare l’effettiva cessione del credito controverso, come già affermato da precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità.

Per concludere, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, pur rilevante ai fini della pubblicità della cessione in blocco, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza del contratto di cessione o l’inclusione di uno specifico credito, in caso di contestazione.

L’onere della prova spetta alla parte cessionaria che deve fornire documentazione adeguata a dimostrare la titolarità del credito, soprattutto quando viene messa in dubbio dal debitore o dalla curatela fallimentare.

La sentenza si inserisce in un quadro giurisprudenziale consolidato, ribadendo l’importanza di una valutazione complessiva delle prove nel rispetto delle regole del processo.

L’accertamento della validità della cessione spetta al giudice di merito, le cui valutazioni non possono essere sindacate in sede di legittimità, salvo specifici errori di diritto o di motivazione.

Infine, la decisione tutela sia il corretto svolgimento del processo, imponendo una rigorosa verifica documentale, sia gli interessi dei creditori nel contesto fallimentare, garantendo equità e trasparenza. Queste conclusioni confermano l’attenzione della giurisprudenza per la certezza del diritto e per la prevenzione di abusi nel riconoscimento dei crediti.

Pubblicato il

29 / 11 / 2024

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